disegno

PIRANESI / SCHUITEN _ Architettura, Comics e Classicismo _ parte III

IV.IV Piranesi, Escher e la costruzione dell’impossibile.

Prospettiva, visioni e altri temi.

 

“ Piranesi mostra chiaramente che la geometria euclidea non rappresenta per lui l’unica soluzione architettonica. La rottura definitiva dell’artista con le leggi della prospettiva centrale è evidente. Piranesi non solo cambia il punto di fuga del dipinto, ma adotta addirittura vari punti di fuga, causando il collasso letterale dello spazio euclideo.”

Ulya Vogt- Göknil [1]

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L’opera di Piranesi, nonostante la sua singolarità, è strettamente vincolato alle correnti di pensiero che venivano sviluppate nel XVIII secolo. Una nuova visione del mondo empirica e soggettiva stava entrando in conflitto con la “conoscenza oggettiva” e l’idealismo ereditato dal Rinascimento. Con la pubblicazione di “The pleasure of Imagination” (1712), si apriva una nuova porta per il prospettivismo e una concezione primordialmente visiva dell’esperienza e del piacere. L’inavvicinabile, la grande scala acquisivano così una progressiva importanza che culminerà nella reinvenzione del sublime kantiano [2]. Non è sorprendente, forse, che tutti questi concetti appaiano nelle Carceri che sono, letteralmente, “Carceri d’immaginazione”. Nella loro costruzione prospettica, Piranesi applica senza esitazione il metodo di Bibiena della “scena per l’angolo”, probabilmente appreso dalle famiglie di scenografi Valeriani o Zucchi. In questo metodo la sovrapposizione dei vari assi prospettici produce un effetto di dilatazione dello spazio che sovrasta lo spettatore. Le Carceri assorbono lo spettatore ricreando la realtà dell’esperienza prospettica. Quando lo spettatore sposta lo sguardo, la prospettiva cambia con lui. Come in un dipinto cubista, lo spazio interno reagisce all’osservatore, offrendo un punto di vista che cambia in continuazione, così come cambiano le fughe. Lo spazio interno delle Carceri è formato da eventi, da parti – e sguardi– individuali orchestrati in uno schema, che però non si piegano alla sua tirannia, ottenendo come risultato l’apparizione di un movimento e una tensione interna che rispondono a questa lotta tra unità e individualità. Con le parole di Andreas Huyssen, “Piranesi si rifiutò di rappresentare un omogeneo spazio illuminato (illustrato) nel quale alto e basso, dentro e fuori, potessero essere chiaramente distinti. […] massicce e statiche nel proprio involucro, le Carceri suggeriscono anche movimento e transizione, un avanti e indietro, sopra e sotto che sconcerta lo sguardo dell’osservatore.” Però a differenza dei cubisti, Piranesi non fa bandiera di questa discontinuità. Come Escher, Piranesi crea continuità impossibili che producono un effetto inquietante [3]: “[…] lya Vogt-Göknil ha mostrato come spazi tridimensionali si trasformino in piani bidimensionali, come le profondità siano smantellate, e le larghezze si assottiglino[4]. In Schuiten, al contrario, non esiste questa ricerca del paradosso spaziale, della discordanza narrativa o dell’esagerazione scenografica. Schuiten completa il ciclo, riconvertendo in uno spazio geometricamente coerente e stabile lo spazio piranesiano, proveniente dalla distorsione dello spazio euclideo. Schuiten crea, così, una veduta della veduta.

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PIRANESI / SCHUITEN _ Architettura, Comics e Classicismo _ parte II

IV. La Tour o la Città Interiore
Le Carceri e la Torre di Babele

Nel 1987, Schuiten e Peeters pubblicano L’archiviste, un compendio rivisitato e commentato di gran parte della produzione grafica che il primo aveva prodotto negli anni precedenti. Come elemento unificatore, entrambi gli autori hanno creato una narrativa che li integrerà nel discorso che si era venuto a formare espandendo l’universo di Les murailles de Samaris (1983), con il successivo La fièvre d’Urbicande (1985). In questo modo, nasce quello che sarà il procedimento abituale di sviluppo dell’universo ‘Les Cités Obscure’ [1] un vortice amalgamante e unificatore di materiali di diversi periodi e ispirazione. L’album, principalmente composto da scene di città, finiva con un inusuale ritratto collettivo, che a piè di pagina recitava: ‘Giovanni Battista e i suoi amici‘. Pochi mesi dopo, Casterman Editeur sorprende i suoi lettori con un nuovo ingresso nella saga. Con ‘La Tour’ (1987), l’equipe franco-belga si distanzia dalla continuità temporale dei due album precedenti, e Schuiten salderà parzialmente il suo debito col maestro veneziano, autentico creatore di ‘Città Oscure’. [2]

IV. I Dalle Vedute alle Carceri d’invenzione.

Come in un racconto di Borges [3], La Tour narra la storia di Giovanni Battista, un mastro manutentore incaricato alla cura e la riparazione di una parte di un edificio che lui chiama ‘La Torre’, la cui reale estensione non la conosce nessuno – nemmeno l’onnisciente lettore- [4]. In più di 120 facciate dell’album, il lettore accompagna Giovanni nel suo viaggio attraverso La Torre, come muto testimone di una delirante promenade architecturale costruita su un linguaggio classicista nel quale le forme Palladiane si sovrappongono e si incastrano in modo perfetto. Costruita con lo stile di una Veduta interiore (nel senso dei Capricci di Canaletto), il disegno de La Torre mostra la rara abilità di Schuiten a trovare ordine nell’eterogeneità.

Le vedute di Schuiten. Eclettismo e Ipertrofia

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figura 6

Sono due, nell’opera di Schuiten, i concetti base della strategia del disegno: da una parte, un ‘eclettismo strutturato’, dall’altra, una ‘ipetrofia stilistica’. Nel disegno di città come Samaris, Urbicanda, Samarobriva o Brüssel, l’artista belga fa sua la lotta per ‘mettere ordine nell’eterotopia’, scegliendo a priori elementi di origine diversa per i quali sviluppa un nuovo sistema che li unifica. Però il “mondo oscuro” può anche essere costruito in maniera inversa, e così, in esso incontriamo città nelle quali è stato sviluppato un solo stile fio al limite, modellando la società a sua immagine e somiglianza, fino all’ipertrofia. In Xhystos (Les Murailles de Samaris, 1982), una raffinata Art Nouveau presa da Horta e Guimard cresce finché non impregna tutta la società che le ruota attorno: non solo gli edifici, ma i veicoli, le macchine, il mobilio, il vestiario e le acconciature delle persone sembrano esser state disegnate da un Henri van de Velde fuori di sé. Allo stesso modo, Blossfeldtstad (precedentemente la provinciale Brentano) si reinventa attraverso un Jugendstijl floreale a partire da un sogno architettonico sulle fotografie di Karl Blossfeldt. (altro…)

PIRANESI / SCHUITEN _ Architettura, Comics e Classicismo _ parte I

Questo è il primo di tre articoli scritti da Luis Miguel Lus Arana nel 2007, che si può trovare qui in spagnolo. La traduzione è mia ed essendo una lingua che parlo da sempre è meno letterale di quello che ho tradotto dall’inglese tempo fa, spero renda l’idea dei significati.

Da Piranesi a Schuiten: l’ipertrofia dello stile

I. Piranesi e Schuiten:
I.I. Des Auteurs Obscures

 

Bramante sentiva di non poter prescindere da ciò:

era uno strumento che stimolava la sua immaginazione

per produrre le sue invenzioni. […] era capace di ampliare la realtà

fino all’illusorio per produrre la movimentata creazione ‘artistica’”

Arnaldo Bruschi “Bramante” [1]

Illustrazione per la mostra 'Rêves de Pierres: De Piranesi a las Ciudades Oscuras', en Villeneuve-sur-Lot.

Illustrazione per la mostra ‘Rêves de Pierres: De Piranesi a las Ciudades Oscuras’, en Villeneuve-sur-Lot.

Dalla sua prima apparizione nel mondo del fumetto nelle mani di Claude Rénard [2] nel 1980, François Schuiten si è evoluto fino a diventare un autore fondamentale nella “haute culture” rappresentata dal fumetto franco belga del post-maggio 68. Per tutta la sua carriera , Schuiten e le sue opere hanno costituito un esempio di coerenza tematica e formale, creando durante il percorso, un mondo fatto di frammenti, interessi e ossessioni diverse – se il termine ‘ossessivo’ si può applicare, anche metaforicamente, al rigore tedesco di Schuiten – che si cristallizzano in forma architettonica. L’architettura e l’ingegneria, le loro differenti logiche interne e rappresentazioni, hanno permesso a Shuiten di veicolare i suoi molteplici riferimenti in scenari immaginari dove la più squisita eterogeneità convive con l’insopportabile, paradossale coerenza del surreale.

Spesso di pari passo con le (im)possibili utopie architettoniche di alcuni architetti (Yona Friedman, Constant Nieuwenhuys), con la pubblicazione di La Tour nel 1987, Schuiten si sarebbe allontanato dal suo abituale ‘futurismo decimonono’ per concentrarsi sulla risistemazione di un mondo interiore che rimanda alle illusioni ottiche di E.C. Escher, ma soprattutto ai disegni di uno dei grandi maestri dell’architettura speculativa: Giambattista Piranesi. Con questa opera Schuiten mostra un avvicinamento a concetti quali l’eterotopia che Michel Foucault [3] coniò in riferimento all’era della simultaneità e che, nonostante la negligenza della sua definizione, ha continuato ad utilizzare come strumento ricorrente per riferirsi al lavoro dell’architetto italiano. Come Piranesi, anche Schuiten ha sviluppato, attraverso il suo lavoro con Claude Rénard, Benoît Peeters e suo fratello Luc, un’inclinazione verso una rappresentazione prospettica che affascina attraverso l’uso della complessità, e che ricrea il sublime Kantiano grazie ad una plausibilità fittizia.

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Topologia della Vignetta

Capire la relazione che hanno questi due mezzi di comunicazione col tempo, mi sta dando del filo da torcere, e come sempre mi succede quando non riesco a cogliere qualcosa, sono fermamente convinta che lì stia il bandolo della matassa. Così ho deciso di affrontarlo poco per volta. Una delle cose che posso dire di aver capito è che molto del rapporto del fumetto e tempo è gestito dalle vignette, dalla loro topologia appunto.

” il tempo diviene tempo umano nella misura in cui è articolato in modo narrativo”
Paul Ricoeur, Tempo e racconto, Volume 1, Editoriale Jaca Book, 1986
 

Così Ricoeur sostiene che il tempo si fa umano, concreto, tangibile, nel momento in cui diviene narrazione, racconto.

Un albo a fumetti però è allo stesso tempo narrazione e progettazione: progettazione della forma della narrazione, vi è un unione di tempo (narrazione) e di spazio (progettazione). Questo spazio, è lo spazio della vignetta. Ne Il Sistema Fumetto, Groensteen parla di artrologia e di spaziotopia, dall’introduzione al libro si può leggere:

Qualsiasi immagine disegnata si incarna, esiste, si dispiega in uno spazio. […] Mettere in relazione le vignette di un fumetto vuole quindi necessariamente dire mettere in relazione degli spazi, operare una divisione dello spazio. Sono dunque i principi fondamentali di questa distribuzione spaziale che verranno, come prima cosa, esaminati all’insegna della spaziotopia, termine forgiato per riunire il concetto di spazio e il concetto di luogo, continuando tuttavia a mantenerli distinti. Gli spazi specifici del fumetto, ovvero nuvoletta, vignetta e quadro, strip (striscia orizzontale che costituisce il primo livello di raggruppamento delle vignette) e tavola, verranno successivamente presi in considerazione e le loro interazioni analizzate.

Quali regole governano questo segno così apparentemente potente come la vignetta?

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Mas Context:Narrative _Sensing the Comic’s DNA

Stralci di una Conversazione con François Schuiten

di Mélanie van der Hoorn

Brüsel, 1992 (Detail) François Schuiten and Benoît Peeters

Brüsel, 1992 (Detail) François Schuiten and Benoît Peeters

I fumettisti François Schuiten e Benoît Peeters sono noti per la loro serie Les Cités Obscures , il cui primo albo è stato pubblicata nel 1983. L’ambiente costruito svolge un ruolo importante in ognuno degli album, ma è soprattutto il primo dei quattro (The Great Walls of Samaris (1983), Fever in Urbicand (1985), The Tower (1987) and Brüsel (1992)) che contiene riflessioni sugli effetti dell’architettura.

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Mas Context:Narrative _Lost in the Line

Graphic Novel di Léopold Lambert

Léopold Lambert lost in the line

La graphic novel Lost in the Line materializza in qualche modo l’allegoria di quello che potrei chiamare il mio manifesto architettonico. La linea costituisce il mezzo utilizzato da ogni architetto come strumento e codice di rappresentazione. Geometricamente parlando, non ha spessore, io che rende difficile immaginarsi qualcuno che si perda in essa. Quando viene disegnata dall’architetto, tuttavia, la linea acquisisce un conseguente spessore quando viene trasposta alla realtà. Infatti, una linea che diventa parete acquisisce non solo un’altezza nella trasposizione di un pezzo di carta per un ambiente tridimensionale ma, soprattutto, comprende nel suo spessore ossimorico, una violenza nei confronti del territorio che divide e del suo corpo che i controlla irrefrenabilmente. L’architettura è dunque intrinsecamente violenta, e qualsiasi tentativo di diffondere questo potere sul corpo è inutile. Forse possiamo, invece, accettare questa violenza e di integrarla nei nostri manifesti. Lost in the Line è quindi un racconto allegorico di tale posizione. Al suo interno, la linea è sia questa figura geometrica tracciata su un pezzo di carta e che divide il deserto in due parti, ma anche una componente frattale e quasi molecolare contenuta all’interno della materia oscura e sinistra della grafite sulla carta. I corpi di questa storia sono puramente presentati alla violenza delle linee che dividono lo spazio intorno a loro. Tuttavia, si appropriano degli interstizi innescati da queste stesse linee per muoversi in tutte le direzioni, costruire nuove forme di abitazioni e, infine, attraversare la linea originale (quella che contiene tutte le altre) che permette di costituire un confine impenetrabile a livello macroscopico.

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parallelismi – disegno parte II

“Il fenomeno di essere introdotti nello spazio disegnato è tipico anche del fumetto che mediante la scelta della giusta inquadratura, della distanza e dell’angolazione dei piani di ambiente può produrre un vero senso dei luoghi nell’immaginario dei lettori: il senso urbano di Gotham City è reale, ma la città è solo un disegno. Ogni architetto, alla stessa maniera del fumettista, aspira a far creare lo stesso senso dei luoghi ai lettori dei propri disegni.” Goodbye Topolinia p.68

Il disegno quindi, attraverso la sua impostazione, ha la forte capacità di coinvolgere l’osservatore. In questo giocano un forte ruolo le linee e le inquadrature, specialmente nell’intento di riprodurre il movimento. Nei manga il movimento spesso è dato dal disegno delle linee cinetiche, ma ci sono altri modi, come le inquadrature inclinate (che aggiungono anche drammaticità alle scene), come la differenziazione delle linee di ciò che risulta più vicino o più lontano, l’ordinazione degli oggetti nel quadro visivo.

Batman. Death by Design Chip Kidd e Taylor Dave

Batman. Death by Design
Chip Kidd e Taylor Dave

 

Domu. Sogni di bambini  Katsuhiro Otomo

Domu. Sogni di bambini
Katsuhiro Otomo

Vero è però che per quanto sofisticata sia la struttura del disegno, per quanto si cerchi di usare complicate prospettive piuttosto che neutrali assonometrie, l’immagine disegnata sarà sempre e solo caratterizzata al massimo da tre dimensioni.

E come fare a non tenere in considerazione la quarta, il tempo?

Bruno Zevi in Saper vedere l’architettura, del 1948 (è importante contestualizzarlo) sostiene che nessuna rappresentazione grafica basti a riprodurre lo spazio architettonico. E’ necessario tenere a mente quale fosse il repertorio di stumenti allora in mano agli architetti: piante, sezioni, prospetti e disegni. Ma per ovviare al problema, Zevi, amplia lo strumentario: “piante, facciate e sezioni, plastici e fotografie, cinematografo” probabilmente non inserisce i fumetti nell’elenco perchè al tempo era una tipologia narrativa decisamente infantile. Mettendoci il cinematografo però si apre parecchio ai nuovi mezzi di comunicazione e si pone il problema della rappresentazione del tempo, appunto.

Sto cercando Architettura e Disgiunzione di Tschumi e in particolare un capitolo “Sequenze” che potrebbe essere utile riguardo alla questione del tempo. Appena l’avrò trovato e letto, sarò pronta a scriverne di più!

parallelismi – disegno parte I

Giunge il momento di riprendere in mano il filone dei parallelismi e di affrontare il più evidente. Il disegno.

Per quel che riguarda l’architettura, in un primo momento si potrebbe dire che il disegno non è che un passaggio perchè il fine è poi la costruzione. Ma forse questo non è esatto. Tralasciando i giorni nostri, in cui quest’inesattezza va via via ampliandosi, non sempre l’architettura disegnata è fatta per essere costruita (vedi ad esempio Piranesi, le cui atmosfere vengono spesso e volentieri riprese in ambito fumettistico). Senza contare poi che spesse volte ciò che è disegnato si differenzia significativamente da ciò che è costruito ed è addirittura più interessante.

Esher sostiene:

“un’immagine mentale è qualcosa di completamente diverso da un’immagine visiva. Anche se ci sforziamo non possiamo mai realizzare la perfezione che c’è nella nostra mente e che noi, a torto, crediamo di vedere”

M.C.Escher, Grafica e disegni, Taschen, Koln, 2008, p.5

ma cos’è il disegno?

“Rappresentazione grafica di oggetti della realtà o dell’immaginazione, di persone, di luoghi, di figure geometriche, ecc., fatta con o senza intento d’arte” (Dizionario Treccani)

“Rappresentazione di cose, persone, luoghi, figure realizzata mediante linee e segni” (Dizionario Garzanti)

Quindi possiamo affermare che l’oggetto “disegno”, non presuppone l’artisticità. Cercando invece la voce disegno architettonico, troviamo che “ha un ruolo prevalentemente comunicativo.

Se analizziamo ciò che è il disegno per il fumetto, il suo scopo è lampante. Il fine del disegno è il racconto, la storia, quindi la comunicazione di qualcosa, a volte proprio il disegno stesso, ma a prescindere da ciò il disegno è uno degli strumenti caratterizzanti il medium fumetto.

Ecco il nostro primo parallelismo. Per entrambe le discipline, la comunicazione avviene attraverso il canale visivo.

Questo canale visivo poi risulta essere il più delle volte l’immagine, il disegno. Spesso ma non sempre, basti pensare a Lost Buindings di cui abbiamo già parlato che è in formato video ma mantiene molte caratteristiche del fumetto. Ebbene, a pensarci meglio per quanto vaste siano le tipologie di disegno, per architettura e fumetto troviamo anche una codificazione simile. Pensiamo alla linea, al suo colore, al suo spessore, al suo tratto. Tratti diversi, spessori diversi hanno significati diversi, ed è una codificazione tale che, in architettura ad esempio, non varia al variare dello strumento. In un disegno fatto a mano, una linea di un certo spessore, avrà lo stesso significato di una linea disegnata al pc con le stesse caratteristiche.

Sicuramente una differenza sostanziale nel disegno utilizzato in architettura e  quello utilizzato nel fumetto, è legata al momento. Progettando sempre di più al computer, il disegno è spesso un qualcosa che viene applicato dopo, mentre per il fumetto, questo cresce insieme alla storia. E’ per questo il disegno di architettura meno espressivo? Coglie meno il carattere dell’edificio?

Io non credo. Sarà che non riesco a pensarmi a progettare qualcosa utilizzando solo carta e matita, però sono pienamente d’accordo con chi dice che il disegno in architettura venga applicato a posteriori. Per quanto sia un po’ una generalizzazione. E in parte si lega molto al discorso di base della mia tesi, cioè che l’unione fumetto/architettura avviene solo nella rappresentazione, dopo la progettazione. Solo che credo si possano fondere ad un livello ulteriore, oltre alla superficie, oltre al disegno. O no?